Borsa: non aspetta, cosa dovrebbe fare Meloni per rilanciare il listino (Mi.Fi.)
12 Diciembre 2022 - 1:31AM
MF Dow Jones (Italian)
Di Roberto Sommella
Fare soldi, per fare soldi, per fare soldi: se esistono altre
prospettive, chiedo scusa non ne ho viste. Un celebre incipit di
Giorgio Bocca in Miracolo all'italiana descriveva perfettamente il
Paese che si era rialzato dalle macerie della guerra ed entrava
nella civiltà dei consumi. Era l'Italia dell'odore della fabbrica,
dell'unico vestito buono, del primo frigorifero, di Rocco e i suoi
fratelli, dell'auto a rate e della Borsa con le sue grida e gli
operatori che si trovavano infreddoliti nei bar poco prima della
discesa nell'arena. L'ascesa fu tumultuosa, senza paragoni nel
mondo libero. Nei primi anni '50 su 12 milioni di famiglie 4 non
acquistavano mai carne e tre solo una volta alla settimana. Già nel
1958 una famiglia su dieci possedeva un televisore, nel 1965 una su
due. Nel 1948 erano un miracolo le semplici biciclette, nel 1965
sarebbe diventata diffusa l'automobile, divenuta femmina grazie
all'intuizione di Gabriele D'Annunzio: cinque milioni e mezzo di
pezzi. Tutta Italia si mise in cammino e con essa il listino,
celebrato persino in una famosa canzone di Lucio Dalla in cui da
Bastogi in giù il cantautore leggeva semplicemente il nome delle
azioni quotate.
Vennero poi le crisi petrolifere, lo sboom, l'inflazione, gli
anni di piombo, l'avvento dei Bot people, la Milano da bere, le
privatizzazioni, Mani Pulite, Maastricht. L'Italia in 30 anni
cambiò più volte faccia, politica e tessuto sociale.
Quello che sta accadendo nel terzo anno dallo scoppio della
pandemia: aumento delle disuguaglianze, dematerializzazione dei
rapporti umani e finanziari, fascinazione per le criptomonete, il
casinò che ha contagiato almeno 6 milioni di cittadini, più di
quelli che hanno Btp in tasca. In questo triennio, scrive MF-Milano
Finanza, la Borsa -pur diventata europea e ritornata italiana per
la parte milanese- ha perduto 14 miliardi di capitalizzazione, ma
nel solo 2022 le opa per delisting (si veda articolo a pagina 8)
hanno cancellato oltre 40 miliardi di valore. Eppure Euronext
rappresenta quel mercato unico dei capitali che si affianca alla
moneta unica e all'Unione fiscale che forse verrà. Perché tanta
disaffezione? I motivi sono principalmente tre: mancanza di
popolarità sia tra le aziende che vorrebbero quotarsi sia tra i
risparmiatori che vorrebbero diventare azionisti, innumerevoli
paletti burocratici che la Consob è costretta ad imporre, Fisco
poco clemente con Piazza Affari rispetto alla esagerata benevolenza
verso l'evasione che il governo Meloni ha dimostrato per il
contante e le cartelle da stralciare.
Tutto perduto? Giancarlo Giorgetti, ministro dell'Economia e
uomo che proviene da quella tradizione lavoratrice e operaia
lombarda descritta da Bocca, non dispera. "Teniamo molto alla
partecipazione dei risparmiatori italiani all'acquisto del debito
pubblico del Paese. Infatti la partecipazione, che è stata
condizionata negli anni sia dalla dinamica dei rendimenti sia
dall'evoluzione del mercato finanziario, ha aumentato l'offerta di
prodotti di risparmio e investimento per i cittadini", ha detto
alla Camera presentando la manovra per il 2023. Ma dal Btp
all'azione il passo è ancora troppo lungo. Fino alla fine degli
anni '80 gli alti tassi di inflazione e i conseguenti elevati
rendimenti offerti dai titoli di Stato, uniti all'ancora poco
sviluppato mercato finanziario domestico, facevano sì che la
percentuale di debito pubblico detenuto dai risparmiatori domestici
fosse superiore al 20% del totale.
Poi la discesa dei rendimenti conseguente al controllo della
dinamica dei prezzi e alla convergenza nell'area dell'euro,
accompagnata alla continua crescita del debito pubblico nel suo
complesso, ha prodotto una continua e marcata discesa di tale
percentuale di partecipazione, fino al 6,4% nel 2021: piace di più
persino il bitcoin. Questa fuga dai Buoni del Tesoro non è
confluita in Borsa. Il problema da risolvere, dall'equazione
complessa, è tutto qui: una Piazza Affari senza affari.
Giorgetti tra mille telefonate e un diluvio di emendamenti alla
Legge di Bilancio trova il tempo per commentare la situazione con
Milano Finanza e promettere: "E' stato prolungato in manovra il
credito d'imposta per i costi di consulenza per la quotazione in
borsa delle pmi e copre fino a 500 mila euro, con un netto
miglioramento rispetto a quanto è stato fatto l'anno scorso. Credo
che sia però necessario continuare a incentivare e promuovere anche
la cultura per favorire l'ingresso in Borsa delle piccole e medie
imprese. Un percorso che è già in atto e che vorrei rafforzare.
Altro passaggio importante è quello delle semplificazioni per
l'ingresso nei mercati".
Questo giornale lo prende in parola e aggiunge una lista di
interventi in forma di appello che il governo Meloni dovrebbe
subito mettere in campo per rendere concrete le parole del ministro
dell'Economia. Occorre innanzitutto stabilizzare e incrementare il
credito d'imposta di 500.000 sulle ipo; rafforzare una concreta
educazione finanziaria a partire dalla scuola primaria; adottare
con speditezza tutte le norme del Libro Verde sui mercati che
questo giornale ha anticipato (si veda il numero del 24 settembre)
già elaborato al Mef con molte misure di semplificazione; estendere
i benefici fiscali dei Pir e dei Pir alternativi anche a chi
possiede più di un piano di investimento; creare un programma stile
Elite condotto congiuntamente dal Tesoro, dal Mise e da Unioncamere
per selezionare una serie di imprese da quotare in modo che le pmi
crescano e si capitalizzino maggiormente; va introdotta la
possibilità di quotarsi alle società in house e permesso l'accesso
alle Mtf (Multilateral Trading Facilities) a tutte le società a
partecipazione pubblica.
Al momento risultano censite alcune centinaia di aziende a
totale capitale pubblico detenuto in prevalenza da enti pubblici
locali o Camere di Commercio, svariate decine di queste società
sono però sane e potrebbero essere oggetto di parziale
privatizzazione con l'ingresso di capitale privato al servizio di
operazioni di sviluppo a favore dei territori in cui operano. Si
potrebbe così creare una piccola seconda ondata di privatizzazioni
locali, dopo l'era di Eni, Enel e Finmeccanica avviate ai tempi del
governo di Giuliano Amato, ravvivando il perduto amore degli
italiani per il listino. L'attuale normativa, ricorda Giulio
Centemero (Lega), prevede che le operazioni di dismissione
avvengano solo mediante procedure competitive, mentre dovrebbe
essere concesso l'accesso ad un mercato regolamentato o all'Egm
(Euronext Growth Milan) gestito da Borsa spa. In questo modo alcune
decine di società pubbliche potrebbero avviare un percorso di
mercato, reperendo risorse per la loro crescita e riducendo la
spesa pubblica che serve per alimentarle. Non è un libro dei sogni,
basta ascoltare gli uomini di mercato e meno le sirene
dell'elettorato autonomo che ha portato Meloni a Palazzo Chigi.
red
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